mercoledì 9 dicembre 2009

Rappresentazione dell'influenza della Luna sulle donne

Rappresentazione dell'influenza della Luna sulle donne

Tra Trentino e Alto Adige quando i riti pagani sopravvivevano alla Chiesa

L'Alto Adige, 9 agosto 2003
Tra Trentino e Alto Adige quando i riti pagani sopravvivevano alla Chiesa

STREGHE & REPRESSIONE I processi, le tradizioni delle selve violenza da Cavalese allo Sciliar

Le valli dolomitiche tra Trentino e Alto Adige vantano una vasta letteratura leggendaria popolata di fate, principesse e re guerrieri, immersi in paesaggi di luna e in giardini di rose. Il fatto che le streghe dolomitiche abbiano conquistato un posto di primo piano nella mitologia e nelle leggende di queste valli e montagne incantate testimonia la pre-esistenza di un sostrato storico che ha alimentato favole e miti. Qui le streghe hanno assunto innumerevoli nomi, a testimonianza della vastità della diffusione del fenomeno. Furono chiamate strìes, ma anche donne selvatiche. Ora un nuovo libro «Le streghe dolomitiche» di Pinuccia Di Gesaro (Praxis 3) ne affronta i temi. Con documenti e riflessioni.
Le bizzose e temute abitatrici delle acque delle fonti dei monti si chiamavano iguane o viviane. Salvères o Salvàns erano invece gli uomini dei boschi. Si credeva che le streghe abitassero negli inaccessibili recessi delle Crode del Vajolet, specialmente nelle Roe da Strìes (rocce delle streghe), sulla Punta della Vecchia del Masaré, sul Cròz del Diavolo, al Bus di Santa Giuliana, sulle Crode del Catinaccio. Si racconta che una volta un commensale che partecipava ad un banchetto delle streghe avesse sbadatamente pronunciato il nome di Dio. Come per incanto, un maniero che si ergeva poco distante dal luogo del convegno delle streghe si tramutò di colpo in un ammasso di rocce dalle forme più strane. Nelle notti di luna piena si credeva che le strìes, le bregostanes e i salvans scendessero dai dirupi di Larséc e si incontrassero per danzare vicino al lago di Antermoia, sui prati di Sojal, nella valle del Vajolet e allePorte Negre, un luogo selvaggio che un tempo evitavano persino i coraggiosi cacciatori di camosci. Siamo qui nel cuore delle valli ladine, dove ancor oggi sopravvive una lingua di origine
reto-romancia che un tempo accomunava senza soluzione di continuità gli abitanti dell'area che va dall'Engadina (Svizzera) fino al Friuli e che oggi viene gelosamente conservata.
La credenza nelle streghe era ampiamente diffusa, oltre che nelle valli dolomitiche, in tutta l'area alpina così come in molti altri territori del Sacro Romano Impero. La mitologia delle streghe affondava le sue radici nell'antichità greco-romana, si affermò in epoca pre-cristiana nelle tribù germaniche e celtiche e prese piede nel tardo Impero negli ambienti di corte e accademici. Ma è solo nel Cinquecento che la credenza nelle streghe diventa demonopatia, un'ossessione talmente profonda ed estesa da provocare una vera e propria persecuzione organizzata, quella che comunemente prende il nome di caccia alle streghe. Già nel corso del Trecento e Quattrocento si erano verificati episodi persecutori sulle Alpi e sui Pirenei, ma è solo nel Cinquecento che il fenomeno, da sporadico e non particolarmente violento, diventa dilagante e di massa. Nel Seicento, poi, toccherà il suo acme, persisterà nel Settecento per declinare soltanto verso fine secolo. Dall'analisi dei documenti dei processi si scopre che nei comportamenti delle streghe, o meglio che nelle deposizioni processuali delle streghe, persistono tracce di un'antichissima religione, di moltissimi secoli anteriore al periodo della calssicità greco-romana.
Questa religione era largamente diffusa nelle prime civiltà mediterranee, tra i diecimila e i quattromila anni prima di Cristo. Erano civiltà a caratterizzazione matristica e non guerriera, la cui religione arcaica era dominata da una divinità centrale.
Questa era la Dea Madre, una signora soave e benefica che sovrastava ogni altra divinità. Nei processi della val di Fiemme degli inizi del Cinquecento essa sopravvive ancora ed è soprannominata Signora del Gioco; in altre zone d'Italia era detta Venus o Erodiade; in un processo milanese del 1390 essa è detta Signora Oriente; per la Chiesa di Roma era Diana, la dea dei pagani. In Germania settentrionale si chiamava Holda e in Germania meridionale Perchta oppure Abonde, come in Francia; in Romania veniva chiamata Trodessa. L'antichissima religione con la sua principale divinità femminile era sopravvissuta in forme di clandestinità o semiclandestinità per millenni; aveva resistito alla civilizzazione ellenica, alla istituzionalizzazione della Chiesa di Roma avvenuta nei primi tre secoli della nostra era; nell'alto Medioevo s'era mantenuta in vita appena tollerata da Chiesa e Impero, le due istituzioni dominanti; fu combattuta con grandissimo impegno e infine debellata nel tardo Medioevo e al sorgere dell'Età moderna. Queste tracce resistettero in forme non rigidamente strutturate in culti e in forme istituzionali, ma si espressero in un sostrato culturale diffuso che emergeva soprattutto nel corso di feste contadine, quelle che si svolgevano in corrispondenza di determinate scadenze stagionali, come gli equinozi e i solstizi, o alla conclusione di lavori campestri importanti, come la vendemmia, la fienagione e altri lavori agresti. Sono riti di propiziazione, quando ancora la campagna è arida, sono feste di ringraziamento ad avvenuto raccolto. Sia in val di Fiemme che a Sarentino e sull'altopiano dello Sciliar, nei processi contro le streghe scopriamo che durante queste feste si svolgevano certi riti denominati giochi; il frequente riferimento alla società del gioco o alla compagnia o alla masnada fa supporre l'esistenza di qualche confraternita clandestina o semiclandestina dedita al mantenimento di quegli antichissimi riti agrari. Apprendiamo così che parallelamente alla religione ufficiale si perpetuò per secoli, anzi per millenni, la religione della Signora. Solo dopo il Concilio di Trento, alla fine del Cinquecento, la cristianizzazione delle popolazioni montane d'Europa divenne stabile.

nota: Pinuccia Di Gesaro dirige la casa editrice Praxis 3 di Bolzano. Ha dedicato ricerche e pubblicazioni al tema della stregoneria (Streghe. L'ossessione del diavolo, il repertorio dei malefizi, la repressione).

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nostra nota al disegno: streghe disegno del 1719.

Il borgo dell'Alta Valle Argentina, nel Ponente ligure, dove nel sedicesimo secolo molte donne finirono sotto processo perché accusate di stregoneria

Il borgo dell'Alta Valle Argentina, nel Ponente ligure, dove nel
sedicesimo secolo molte donne finirono sotto processo perché
accusate di stregoneria

IL GIORNALE DI BRESCIA, 31 agosto 2004
Rosanna Ramondo

Triora a 776 mt nell'alta valle Argentina del Ponente ligure, è un borgo sorto all'epoca dell'invasione longobarda guidata da Rotari. Le case alte, addossate l'una all'altra, danno la fugace impressione, a chi contempli il paesaggio specialmente all'imbrunire, di stringersi in un abbraccio come per difendersi da un nemico occulto, forse legato alle magiche, misteriose leggende del passato, risalenti a oltre 400 anni orsono. La parte alta del borgo è dominata dai resti dell'antico castello dei Conti di Ventimiglia: il torrione centrale a 780 mt e parte delle mura perimetrali del XII secolo. Ricca di storia e di una pregevole architettura medioevale, grazie alla sua felice posizione all'incrocio di strade di vitale importanza (in particolare la «La via del Sale» attraverso cui Genova esportava il minerale in Val Padana) Triora si sviluppò fino a diventare un centro importante.
Numerose le antiche chiese presenti nel borgo; come la Chiesetta romanica di San Bernardino con i suoi notevoli affreschi e la Chiesa della Madonna delle Grazie, del I secolo dopo il Mille.

Questo tranquillo borgo, accolto nel 2003 nel selezionatissimo ed esclusivo club fondato dall'Anci tra i «Borghi più belli d'italia», oggi riserva non poche emozioni a chi lo visita e ricerca le antiche tradizioni, le usanze, la vita quotidiana degli abitanti di un tempo, turbata dalla presenza di un gruppo di donne definite «streghe» e sottoposte ad un tragico processo per stregoneria avvenuto negli anni 1588-'89, accusate di aver rapito e ucciso bambini in fasce, di scatenare tempeste con conseguente carestia e fame, di usare intrugli mortali e malefici inneggiando a Satana nei loro scomposti raduni (I Sabba).

Su questi antichi avvenimenti uscì nel 1898 un saggio intitolato «Le Streghe di Triora in Liguria» dello storico prof. Michele Rosi, mentre altre opere sull'argomento, mai ristampate, andarono perdute; anche le indagini sui testi conservati nell'Archivio di Stato di Genova dello studioso Luigi Costanzo Oliva nel 1986-'87, nate dall'esigenza di fare chiarezza su quanto realmente accaduto per l'impossibilità di una esauriente consultazione, non diedero risultati definitivi; ma accanto alla vicenda storica e giuridica sussiste, tutt'ora, una tradizione popolare che si regge sui racconti delle persone anziane, tramandati di generazione in generazione, che evidenziano la convinzione che le donne arrestate e torturate, in genere popolane, furono vittime dell'ingiustizia, dell'ignoranza e della superstizione. Sul finire della torrida estate del 1587 i trioresi erano veramente disperati; i raccolti da due o tre anni erano pressoché inesistenti, povertà e fame furono le cattive consigliere che inasprirono gli animi: di chi poteva essere la colpa di tante calamità se non delle Bagiue di cui si parlava da tempo? Così, iniziò una vera e propria caccia a quelle donne del paese che vivevano in solitudine o, per qualche ragione erano invise ai più. I luoghi di raduno preferiti dalle streghe nell'alta valle Argentina erano al «Cian der Preve» dove ballavano freneticamente tutta la notte, presso la Fonte dei Molini dove tra gli schiamazzi si svolgevano scomposte processioni alla luce di moccoli accesi; ma il loro luogo preferito era l'aia della Cabotina, tra i ruderi abbandonati di un sinistro casolare fuori dalle mura di Triora. Nel silenzio delle notti di luna piena le streghe si abbandonavano a danze sempre più parossistiche, tra agghiaccianti risate, fino agli osceni incontri con i diavoli caproni.

Molto inquietante e complessa è la storia del processo di oltre 200 imputate indetto dal fanatismo religioso della Controriforma imperante; le donne furono costrette a confessare, anche se innocenti per le inumane torture a cui erano sottoposte. (Il tormento della corda, il cavalletto, la veglia di 45 ore, il fuoco ai piedi). La mancanza di indizi sicuri e provati, e l'inefficienza degli Inquisitori e del Vicario posero fine, dopo che furono emanate condanne a morte non eseguite, a questa assurda persecuzione; alcune imputate morirono di stenti in carcere. Ma la leggenda popolare tramanda la continuità della presenza delle streghe, anche dopo il processo; si dice che altre «Bagiue» continuarono indisturbate le loro orge alla Cabotina, i Sabba satanici presso le Fonti, mentre le mamme raccomandavano ai propri figli di rientrare fra le mura di Triora al suono dell'Ave Maria!

Visitare Triora significa riscoprire la magia e ritrovare sensazioni dimenticate; molte persone di ogni ceto e nazionalità, attratte da questi antichi fatti, avvolti in un alone di mistero, vengono in questo borgo. Oggi, nel palazzo che ospita l'interessante Museo etnografico si possono visitare le «Segrete» delle vecchie carceri, gli strumenti di tortura e nell'Archivio si possono consultare i documenti relativi al processo. La gente del borgo ha ormai imparato a scherzare sulle faccende stregonesche e le streghe non fanno più paura; anzi, alcuni parlano con compiacimento dei loro filtri d'amore efficacissimi per legare per sempre gli innamorati! Resistono però nel tempo gli antichi detti popolari come «Quande u ciove cuu sue e bagiue i fan l'amue» (Quando piove con il sole le streghe fan l'amore).
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nota sul disegno:
Le streghe pittura intorno al 1500 di Hans Baldung